ho trovato questo racconto mentre studiavo...trovo che possa essere utile a molte mamme...
RH positivo
Un tassello che improvvisamente trova il suo posto e fa riaffiorare un ricordo. Un racconto di Josefina Privat Defaus
La settimana scorsa, nella sala insegnanti della scuola dove lavoro, ho trovato un pacco molto voluminoso indirizzato a me. Guardando di tanto in tanto attraverso le grandi finestre della sala affacciata sull’Arno, ho scartato il pacco: era un testo universitario di Biologia. Chissà perché, fra tutti gli insegnanti di scienze della scuola, il rappresentante lo ha regalato proprio a me. Gli sarò stata simpatica?
Ho portato a casa il librone e la sera stessa gli ho dato uno sguardo rapido. Per caso, i miei occhi si sono soffermati sul paragrafo Rh e incompatibilità e ho letto: – Può verificarsi una malattia emolitica nel feto o nel neonato se il sangue di una donna è Rh negativo, se porta in grembo un bambino Rh positivo e se, in precedenza, ha avuto un figlio con sangue Rh positivo.. Per il lavoro che faccio, queste cose le sapevo già e le avevo ripetute per anni ai miei studenti, ma fino a quel momento non le avevo mai collegate alla mia nascita. Chiamai prima mio padre, il quale mi confermò che il sangue di mia madre apparteneva al gruppo Rh negativo, poi mia sorella, la prima di tre figli, la quale mi comunicò che il suo sangue è Rh positivo. Non ci potevo credere. Dato che anche il mio è Rh positivo, durante la seconda gravidanza di mia madre, nel suo sangue si erano sicuramente formati degli anticorpi in grado, attraverso la placenta, di distruggere i mie globuli rossi. Sarei dovuta nascere con delle patologie gravi o addirittura morire. Invece sono nata sana, ma prematura.
Dovevo venire al mondo alla fine di agosto, ma una sera di metà luglio, mentre prendeva il fresco seduta davanti a casa, chiacchierando allegramente con le vicine, mia madre ha avuto delle coliche molto dolorose. Chiamato d’urgenza, il vecchio dottor Rossinyol escludeva che potessero essere doglie, pensava piuttosto si dovesse trattare di un problema intestinale e, per questo, le fece somministrare alcune “lavatives”[1]. Ma i dolori di mia madre aumentavano sempre di più. Allora mia nonna, molto saggiamente, chiamò Anita, la vecchia “llevadora”[2] del paese.
Anita era una donna bassina e non molto bella, era molto seria e riservata ma, appena le si dava confidenza non smetteva di parlare. Un giorno, era arrivata in paese da non si sa dove con suo marito barbiere. Aveva una gran passione per il proprio lavoro e da sola era stata capace di far nascere i bambini di tutto il vicinato. L’ho conosciuta quando ero piccola, era lei a farmi le punture quando ero malata. Io avevo paura di Anita, nonostante fosse molto gentile con me e mi dicesse sempre: - quan vas neixer eras la nena mes petita i mes maca del poble[3].
Sono nata all’alba di una giornata torrida. Ero minuta, pesavo solo due chili. Dormivo sempre. Tutti, compresi il Dottore e la levatrice, temevano che morissi. Dato che negli anni cinquanta, nel mio paese, non c’erano incubatrici, per tenermi al caldo mi hanno coperto con vari strati di vestitini di lana. Poi mio padre mi metteva delle goccioline di collirio per svegliarmi all’ora giusta, dovevo mangiare e crescere. Sembra che mi sia attaccata con facilità al seno di mia madre e abbia cominciato subito ad aumentare di peso.
Ancora oggi, tutte le volte che torno in Catalogna a trovare mio padre novantenne, ora vedovo, lui mi ricorda sempre di quando sono nata dicendomi: - Eras molt maca, la pell clara i els cavells negres, el cap rodonet i el cos molt petitet. Dormias sempre, pero quan jo et posave les gotetes els teus ulls eran com dues estrelletes[4].
Con il libro di Biologia in mano mi è stato chiaro il perché della mia nascita prematura: dovevo stare male nel grembo di mia madre, ero debole ma sentivo un impulso che mi spingeva fuori, dovevo uscire prima che gli anticorpi distruggessero i mie giovani globuli rossi. Ho riconosciuto in quell’impulso la forza che c’è ancora in me, la voglia che ho di andare avanti. Ho ripreso il libro di Biologia e, accarezzandolo, l’ho ringraziato per avermi fatto capire che sono una donna felice perché sono nata o meglio perché ho lottato per poter nascere e ci sono riuscita.
Josefina Privat Defaus
Firenze, marzo 2010
[1]Clistere
[2]Levatrice
[3] Quando nascesti eri la bimba più piccola e più bella del paese
[4] Eri molto bella, la pelle chiara e i capelli neri, la testina rotonda e il corpo molto piccolo. Dormivi sempre, però quando ti mettevo le goccioline i tuoi occhi erano come due stelline..
testo originale da : nursing in movimento
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